Episodio 6: Consapevolezza di città in città. Il Nord.

25.05.2012 16:47

Quando si fanno castelli in aria come abbiamo fatto noi per tutti quei mesi prima dell'atterraggio ad Auckland, il viaggio diventa quasi una minaccia per le proprie aspettative. Molti inconsciamente lo sanno e quando 'scoprono' la Nuova Zelanda decidono che ci vogliono andare e basta. Non c'è un prima e non c'è un dopo. A volte nemmeno un vero motivo, se non l'odio per il proprio paese, per gli atteggiamenti dei propri connazionali. A volte siamo talmente ingenui che pensiamo che certe cose all'estero, e soprattutto nel paese da noi scelto, non ci siano...anzi ci convinciamo che là sia il contrario. Fantascienza, nella maggior parte dei casi.

Quando le aspettative sono tante non si è disposti ad ammettere i lati negativi, si cerca di stravolgerli o di piegarli alle proprie esigenze. Ma questa cosa non regge molto, un po' di nostalgia, la minima difficoltà, una discussione al momento sbagliato e la scenografia crolla. E si diventa lamentosi, piagnoni e cagacazzi.

Noi non siamo arrivati da turisti, non cercavamo le bellezze della Nuova Zelanda, cercavamo un posto che ci comunicasse buone sensazioni per un'eventuale vita quotidiana. Un posto che alla prima difficoltà, guardando fuori dalla finestra non ci avesse fatto dire 'e poi guarda pure che posto di merda...'.

Auckland è bella ma non ci ha ispirati da questo punto di vista, attorno ha paesaggi meravigliosi, spiagge enormi con la sabbia nera, onde altissime, conchiglie bianche di cui non sai mai bene la dimensione finchè non le tiri su. La gente passeggia sulla riva dell'oceano, i bambini scorrazzano sul bagnasciuga, i surfisti sfidano i cartelli di pericolo, i cani coperti di sabbia si scrollano sempre troppo vicino a me. E mi piove addosso bava e sabbia a sferzate. Belle escursioni nei dintorni collinari, la vegetazione è incredibile, ma un non so che di metropolitano ci ha fatto capire che Auckland non sarebbe stata la nostra prima scelta. Nonostante i festival, le fiere, le mostre, le regate, i musei, i locali, i teatri. No perchè noi italiani come al solito siamo gnègnègnè su tutto...siamo bravi a dire che non c'è un cazzo in Nuova Zelanda, ma poi non usciamo mica a cercare! A me pare che la gente di Auckland sia sempre parecchio indaffarata, specialmente dopo il lavoro: sport, passeggiate, pesca, amici. I pub dopo il lavoro sono sempre pieni...e trincano parecchio.

Tappa successiva: Hamilton, altro centro urbano, certo un puntino a paragone di Auckland. Un posto tranquillo, una delle poche città non sul mare. Prima e dopo per centinaia di km fattorie con cavalli, ampi recinti, tutto pascoli. Chi dice che non c'è da fare nulla, se proprio è un momento diperato, ha solo da prendere l'auto e farsi il tratto di strada che lo separa da Auckland. Hamilton ha il vantaggio di essere anche poco lontano da posti paesaggisticamente magnifici, ci sono punti strategici in cui si può fare perfino il bagno senza muta.

Sulla strada verso Wellington attraversiamo e ci fermiamo a Rotorua, Taupo, Napier, Hastings e infine Masterton.

Rotorua è quasi una tappa obbligata, non per nulla la chiamano Rotovegas. La puzza di zolfo ti accoglie prima o poi a seconda del vento, subito guardi il compagno di viaggio, lui guarda te e ci si dice in coro, ancora prima di scendere dalla macchina 'io non sono stato', entrambi ci guardiamo con sospetto, poi quando finalemente apriamo le portiere capiamo che 'va bene tutto, ma una roba così non puoi averla fatta tu...' Che pirla che siamo...le sorgenti sulfuree puzzano di uova marce, sono ovunque, fango bollente, geyser, laghi gialli, concrezioni bianche e giallognole attorno ai ruscelli bollenti. Tutti fanno foto tra i fumi spinti dal vento. Questa è stata una piccola pausa turistica, insieme a Hanmer Springs, due località da vecchietti o da donne gravide.

Viaggiando non ne parliamo troppo ma sappiamo che ci sta attraversando la testa la stessa idea...non siamo più tanto convinti. Il posto è magnifico, ma ci immaginavamo una sfida un po' meno tosta. L'idea di centro urbano è decisamente diversa e noi, per quanto coscienti della situazione difficile italiana, avendo qualcosina da perdere (tipo un posto fisso degnamente retribuito), rimaniamo molto prudenti. Il fatto che sulla cartina segnino come città/cittadina un crocicchio con n.1 supermercato, n.1 pub, n.1 scuola, n.1 masonic lodge, n.1 Club delle donne e un tot di case sparse attorno, ci lascia abbastanza dubbiosi sulla tenuta che potremmo avere in un posto simile e sul fatto che i nostri figli potrebbero avere come solo passatempo il pub, come d'altronde succede a molti kiwi. Hastings e Napier ci migliorano l'umore, soprattutto Napier, ma è talmente una località da vacanze che viverci tutto l'anno sembrerebbe strano. Come trascorrere tutto l'anno a Broghetto in Liguria, ti afflosci solo a pensarci.  D'altro canto sapere che un bel giorno a causa di un terremoto si è sollevato un terrazzamento di alcuni metri e la città è stata completamente rasa al suolo non ci fa proprio fare i salti di gioia...ciao mamma vado a vivere in Nuova Zelanda e poi una settimana dopo ti ritrovi a mangiare dai kit di emergenza distribuiti dall'esercito australiano...anche no. Ci sono zone infatti che, dovessero mai bloccarsi le vie di comunicazione, rimarrebbero isolate per giorni, da terra ci metterebbero così tanto ad arrivare che farebbero prima i soccorsi via mare dall'Australia. Campa cavallo. Ecco, c'è da aggiungere che non è un'ipotesi remota. Si sa perfettamente che potrebbe succedere. E così fino a Welli. Bella, magnifica, stupenda. Ci conquista entrambi subito, nonostante i 4$ all'ora per il parcheggio. Wellington ha un'atmosfera particolare, indescrivibile. Molte persone arrivate a Welli da turisti si sono fermate, ovviamente sudandosi il visto. Wellington è sparpagliata sulle colline che si affacciano sullo stretto di Cook, il centro è pieno di negozi, su due strade principali si concentrano ristoranti di tutti i tipi, teatri e cinema. Noi abbiamo visto l'ultimo di Harry Potter 10 ore prima degli Europei, (ahaha come si fa a non tirarsela un po'?) all'Embassy Theatre, un cinema che ci ha proiettati indietro di 100 anni...pure i cessi sono quelli di una volta. Merita! Dalle poltrone in cui si sprofonda alla sala d'attesa del primo piano, i tavolini e i finestroni con le tende di broccato.

A Wellington abbiamo camminato parecchio e abbiamo visto tutti i sobborghi, abbiamo incontrato qualche italiano trapiantato, alcuni innamorati della città a tal punto che il fatto che si trovi in NZ non fa alcuna differenza per loro. Altri meno convinti, ma comunque molto soddisfatti dello stile di vita che offre, che tutto sommato è il migliore che abbiamo visto da nord a sud. Le case sono ad occhio meno solide di quelle di Auckland, sono arrampicate sulle colline, sempre seguendo il principio palafitta per ovviare al problema della pendenza, le macchine in alcune zone sono parcheggiate su plance di legno montate su salti nel vuoto. Le strade sono abbastanza trafficate e bisogna fare attenzione nella scelta della zona perchè ci sono zone meno servite di altre. La vegetazione dona a Wellington una sembianza esotica, è talmente fitta che sovrasta le case...e, a parte il centro che è moderno con alcuni palazzoni a specchio e costruiti su parecchi piani, impedisce all'urbanizzazione di prendere il sopravvento. Le casette bianche in legno circondate dal verde non danno proprio la sensazione di trovarsi in una capitale! Il porto è moderno e sparso di piccole opere d'arte, targhe a volte immerse nell'acqua, depositi trasformati in pub o gallerie. Camminare a Welli può essere faticoso per i non allenati, le pendenze mettono alla prova...dal centro a The Terrace c'è una bella rampa che offre come unica consolazione qualla di smaltire la cena indiana a Cuba Street. Di sera iniziamo ad incrociare qualche sbandato, ubriaco o fuori proprio. Uno in particolare suonava fortissimo un tamburo sotto la terrazza di una casa all'una di notte accompagnandosi sbattendo una spranga sulla carrozzeria delle macchine parcheggiate là sotto. A Napoli avrebbe una vita cortissima questo...ma forse poi sono scesi i proprietari e l'hanno spiumato sul posto...noi ci siamo defilati abbastanza velocemente...volevamo evitare che gli venisse la brillante idea di provare la spranga sulle nostre schiene. A Courtney Place i ragazzi in fila per entrare nei locali erano già sbronzi da casa perchè non si può bere in strada, le ragazze sdraiate per terra non si facevano problemi a scosciarsi sul marciapiede, robe molto British, ma altrettanto diffuse in Germania, Francia, Spagna ecc. Ho sentito molti lamentarsi di questo abuso di alcol, quasi fosse un problema solo nz. Lavorando con studenti di provenienza ed estrazioni diverse e avendo vissuto per qualche tempo all'estero, vi posso assicurare che non abbiamo visto nulla di nuovo, anzi le alcohol free zones sono decisamente avanti. Anche qui dai 13 anni in su, se non prima, si beve per la sbronza, alcuni si versano la vodka negli occhi per stordirsi prima...come io mi verso le goccine omeopatiche. Wellington offre molto anche alle sottoculture tipicamente europee, musica e abiti sono reperibili per cui facilmente ci si può imbattere in serate nei locali. Il peggior difetto di Wellington è costituito dalle 3 faglie su cui è stata costruita, The Terrace che è alta una quindicina di metri è venuta su con il terremoto del 1855, interi quartieri sono stati distrutti, molti i morti e le testimonianze scritte da chi è sopravvissuto sono abbastanza significative e impressionanti. Un altro problema è che alcuni quartieri sono stati costruiti su terra reclamata e quindi potenzialmente inondabile. Ci sarebbe piaciuto scegliere Wellington, ma non ce la siamo sentita. C'è troppo in gioco. Sembrerà stupido perchè poi potrebbe non succedere mai (anzi me lo auguro), ma proprio sfidare la sorte...

Finalmente una sera ci sblocchiamo e ci diciamo quello che fino ad allora avevamo solo pensato, quasi a non voler sbriciolare le convinzioni dell'altro...fino a Wellington la risposta è NO, non abbiamo ancora trovato nulla per noi, conoscendoci e sapendo cosa cerchiamo non siamo convinti e tirarci dietro 3 bambini senza essere decisi è una cretinata. Non c'è un motivo preciso, è istinto, la sensazione di non aver ancora capito la nz e di non sapere se una volta messa a fuoco ci piacerà davvero. Non vogliamo che sia una tappa di un viaggio, vogliamo poterci fermare un po', stabilirci, conoscere e avere il tempo di crearci nuove abitudini e una nuova quotidianità.

Con un po' più di disincanto prendiamo il traghetto da Wellington a Picton, cambio macchina, check in dei bagagli...ecco vi ricordate come sono i nostri viaggi verso le isole? I guidatori portano le auto nella nave, i passeggeri come deportati si caricano di valigie, si trascinano su per le scale con bambini, gabbiette per animali, zaini, sacchi a pelo. A Wellington lasci tutto al desk, ti accomodi sulle poltrone, loro ti caricano le valigie in stiva e tu te le riprendi all'arrivo. Fine. Stop. Neanche una sudatina.

Sulla nave tante sensazioni, intanto erano tutti in fibrillazione...il sud trasmette energia, non è roba da fricchettoni, sul ponte era pieno di gente che non vedeva l'ora di arrivare, bambini che gridavano 'Can't wait to reach the South Island', gente allegra pronta a godersi il paesaggio e le ore di navigazione. Anche qui una sorpresa: la nave è norvegese. E' tutto scritto in norvegese ed inglese, indicazioni, cartelli di pericolo...questa è una cosa che apprezzo della nz, perchè spendere per una flotta nuova di zecca se si può usare una flotta di seconda mano perfettamente funzionante?  

Io mi poltronizzo appena usciamo dalla protezione del golfo, intuisco che nonostante l'assenza di vento e la giornata tersa, il mare non sia dei più tranquilli...e infatti sembra di stare sull'altalena, guardo fuori dal finestrino e vedo alternativamente tutto cielo e tutto mare, tutto cielo e tutto mare e via così. Ovviamente mio marito fa le parole crociate, mentre io parlo al mio stomaco con toni di supplica. Affianco a noi una famiglia maori: 2 bambini che mangiano e scorrazzano nonostante la pendenza del pavimento cambi in continuazione. Che invidia. Ai tavoli un gruppo di pakeha che giocano a carte e bevono birra, tanta, birra, fiumi di birra. Una via l'altra. Ne ho contate una trentina in 6. Io non riuscivo a tenere un tramezzino e loro si farcivano di alcol, rimanendo apparentemente sobri, ma getting louder and louder. Dopo qualche ora la protezione dei fiordi mi permette di andare a sbirciare fuori e capisco perchè tutta quella gente era così emozionata...inizia un altro viaggio in un altro paese: la South Island.